Per una volta una fiction in questo spazio…
L’isola di Medusa
Ora sono solo. Dopo giorni passati assieme a molte altre persone, ora sono solo. Risalgo lento la spiaggia e mi giro ogni tanto verso il mare per vedere se ho qualcuno dietro. Ma non c’è nessuno.
Non posso essere l’unico ad essere arrivato sull’isola fra le decine di persone che viaggiavano con me sul barcone. Io nuoto abbastanza bene, andavo sempre in piscina quando studiavo in Francia, ma ho una certa età. Eppure non mi sento nemmeno stanco.
Sulla barca c’erano quei ragazzi magri, forti, loro sicuramente avranno raggiunto, nuotando, un’altra spiaggia. Chi non può avercela fatta è quella ragazza con il bambino piccolo, scurissimi tutti e due di pelle. No, loro non possono essere sopravvissuti.
Era buio quando siamo finiti tutti in acqua e ora il sole è alto. Un sole velato che oggi non scalda nemmeno.
Mi sento così leggero e non sono stanco.
Cammino da almeno 10 minuti e non ho ancora incontrato nessuno abitante, eppure l’isola non deve essere grande. Non vedo nemmeno un villaggio o delle case isolate. Nemmeno i soccorsi sono venuti. Non vorrei incontrare dei militari però, preferisco camminare da solo.
Che isola desolata, non ci sono nemmeno i gabbiani, vedo degli uccelli, questo si, ma volano alti, lontanissimi, non riesco a capire cosa siano. Volano così alti.
C’è un grande silenzio qui, non sento il rumore del mare e nemmeno il rumore del vento, cioè li sento ma il rumore mi arriva ovattato. Forse mi è entrata dell’acqua nelle orecchie o forse ho la febbre.
Devo raggiungere un villaggio e chiedere aiuto, dopo quello che ho passato morire qua sulla terraferma sarebbe ridicolo. Ecco, là c’è un’altura, la raggiungo, da là dovrei avere una veduta più ampia; finché rimango qua non può cambiare niente.
La mia meta è più lontana di quel che pensassi, sembra che non si avvicini mai, ma deve essere un’impressione dovuta al paesaggio così monotono. Perfino queste piante che crescono male tra i sassi non hanno un colore da piante, sono grigie. Adesso ne strappo una. Non ha nemmeno l’odore delle piante che vivono vicino al mare.
Ma dove sono tutti gli altri, non posso essere l’unico. E quegli uccelli che volano così alti. Entro sera dovranno pur posare da qualche parte. Sono fissi la nel cielo, sembrano disegnati.
Finalmente, ecco là c’è una casa di sassi bianchi! Ma devo cambiare direzione, devo ridiscendere verso la spiaggia . E’ un altro versante, magari là troverò delle gente, dei superstiti. Si è una casa, finalmente un segno di vita. Devo stare attento a non correre, a non cadere, se mi ferisco o mi rompo una gamba nessuno mi può aiutare.
Sono delle pietre accatastate, un riparo forse, il mio riparo. Ma qualcuno le ha messe così o sono delle rocce semplicemente vicine?
Sono ore oramai che cammino. Quest’isola è disabitata, come me la caverò adesso? Non c’è niente da mangiare e da bere; del resto non ho nemmeno un po’ di fame, nemmeno sete. Questo sole grigio non riscalda, per questo non ho bisogno di bere. Ma non ho nemmeno freddo.
Non so da quante ore sto vagando, l’isola è immensa; è meglio che ritorni verso la costa, sul mare, all’interno non c’è nulla.
Non cala nemmeno la sera, allora non sto camminando da così tanto tempo. Anzi il sole è ancora alto. Devo dormire, forse sono esausto e non me ne accorgo. Ecco, mi metto là su quella roccia, vicino alla spiaggia. Da qui ho un’ampia veduta sul mare. Ora mi corico e chiudo gli occhi. Gli uccelli sono sempre là, disegnati nel cielo.
Non ho bisogno di dormire! Non ne avrò più bisogno. Che strano pensiero questo. Eppure è così.
Il mare è fermo, grigio perla, quasi biancastro come il cielo. Posso perfino guardare il sole alto con gli occhi spalancati. Niente mi può ferire. Non ho nemmeno fretta, non so più cosa sia l’impazienza anche se ora so che rimarrà tutto uguale.
Le barche sono centinaia; alcune arenate, altre affondate e cingono l’isola come una corona, hanno tutte una sola cosa che le accomuna: nessuna è mai arrivata , né mai potrà arrivare. Io devo solo aspettare e tra un po’ gli altri arriveranno. Verranno dal mare e saranno tanti, ma qui lo spazio non manca. Ora so che verranno, io li ho solo preceduti. Devo solo aspettare. I loro corpi sbucheranno asciutti dalla superficie del mare e continueranno a camminare per la spiaggia, per l’isola. Ci saranno sicuramente i miei compagni di barca, quei ragazzi magri e anche quella ragazza scura con il bambino che non può più piangere.
Pubblicato sulla mitica rivista di satira, fumetto e giornalismo ” Mamma!”
L’isola di Medusa – racconto