0

Brasile: i laboratori di comunità per eliminare la lebbra

Testimonianza di Lorrainy Solano/Sono un’infermiera e lavoro nell’assistenza diretta da 19 anni; ho una lunga esperienza di lavoro e la lebbra è una delle malattie principali di cui mi occupo. Ma sono anche un’educatrice popolare e questo per me significa che lavorare nella salute è un lavoro politico: questa consapevolezza è dovuta al mio essere donna, femminista e anche di etnia indigena.

Il progetto promosso da BRASA “Lebbra in rete di interfacce: salute, istruzione e società” mi permette di essere pienamente sia infermiera che educatrice popolare in quanto rimette in discussione i ruoli professionali e la cura della persona. E’ stata anche un’occasione per ripensare il processo di trattamento della lebbra a partire da quello che non ha funzionato, sugli insuccessi e dare sostenibilità all’innovazione che si propone.

Anche se da tempo abbiamo un concetto più ampio di salute e facciamo un lavoro di equipe, il focus del nostro lavoro rimane quello biomedico, dei professionisti della salute. Abbiamo allora cercato di cambiare metodo. Grazie ai suggerimenti del professore Ricardo Burg Ceccim esperto di salute pubblica, abbiamo creato dei laboratori di comunità. I laboratori di comunità sono di due tipi, uno che comprende le persone della comunità e un secondo gruppo fatto da professionisti a loro volta divisi in due gruppi, uno che è composto da medici che fanno attività di ambulatorio e poi un gruppo che fa lavoro in rete, di interfaccia appunto. Non è facile lavorare in rete per molti professionisti, certi medici si sentono minacciati nel loro ruolo, alcuni l’accettano altri no, ma noi lavoriamo con tutti. La cosa interessante è che ciò che stiamo facendo oggi per la lebbra è un metodo che può essere attuato anche in molti altri campi.

La zona in cui operiamo è il comune di Mossorò che con i suoi 300 mila abitanti è la seconda città dello stato di Rio Grande do Norte. In questa area vi sono solo 70 equipe di salute della famiglia (in Italia corrispondono al medico di famiglia) e per la lebbra solo uno. A domicilio vengono effettuati solo il trattamento medico e la distribuzione delle medicine, così una persona malata di lebbra che ha bisogno di una visita da un terapista della riabilitazione o da uno psicologo, deve uscire di casa e andare in centro città. Il problema è che molti malati si vergognano di uscire di casa per via dei pregiudizi che la gente ha verso di loro. Lo scopo del nostro progetto va incontro a queste difficoltà, da una parte vuole decentralizzare i servizi socio-sanitari e dall’altra cerca anche di eliminare gli atteggiamenti di rifiuto da parte della popolazione.

In generale, cioè al di là di questo progetto, i laboratori di comunità sono luoghi di educazione popolare fatta con le persone e non per le persone dato che gli individui non devono vivere passivamente la loro salute. I laboratori di comunità sono momenti di riflessione sulle esigenze formative più importanti, vengono coinvolti tutti, sia medici che pazienti e questa esperienza ha avuto un effetto anche su di me, dato che mi sono accorta che non avevo una visione integrale e completa della persona.

Articolo pubblicato sulla rivista 2gether maggio 2021

0

Comunicare la malattie non trasmissibili in Mozambico

Elisa Come

Testimonianza di Elisa Come/Sono una giornalista e prima lavoravo in un importante quotidiano; poi ho risposto a un’offerta di lavoro che consisteva nel comunicare alla popolazione le malattie non trasmissibili come il diabete, l’ipertensione o la prevenzione del tumore della cervice uterina .
Era un lavoro importante perché dal mio osservatorio mi rendevo conto che i giornali davano la precedenza alle informazioni di carattere economico e politico ma non si occupavano delle notizie sulla salute perché ritenute meno importanti. Il giornalista è anche un attivista e ho capito subito che in Mozambico c’è invece un grande bisogno di informazione sulla salute, c’è bisogno di fare prevenzione.
All’interno di questo progetto AIFO si occupa, tra le altre cose, di sensibilizzare la popolazione su questo genere di malattie, e questa era diventata anche la mia missione, in particolare io coordino 35 attivisti che hanno il compito di incontrare la gente e informarla.

Prima della grande sorpresa comunicavamo la prevenzione e il trattamento di queste malattie in molti modi, utilizzando degli spot nelle radio comunitarie, facendo degli eventi pubblici che tenevamo in palestre o altre strutture pubbliche, a volte accompagnati anche dalla musica e da momenti teatrali.

Ma l’avvento del covid, la grande sorpresa, ci ha costretto a marzo 2020 a cambiare tutti i nostri piani. A giugno iniziamo a formare i nostri attivisti su come affrontare la pandemia e a novembre possono ritornare a fare il lavoro di sensibilizzazione che a questo punto comprende anche le norme di sicurezza per prevenire il contagio dal covid-19.
Ora il modo in cui fanno attività di sensibilizzazione è cambiato, viene fatto porta a porta per piccoli numeri di persone. La gente è gentile con gli attivisti, già conoscono la loro attività e i leader di comunità li aiutano; la sfida più difficile invece è quella far credere alla gente nella pericolosità del covid. La maggioranza non ci crede, soprattutto quelli culturalmente più svantaggiati, non credono alle autorità e hanno comunque problemi di sopravvivenza più importanti da affrontare.

Per le malattie non trasmissibili però la loro azione risulta fondamentale per molte persone. Gli attivisti descrivono i sintomi delle varie malattie, i rischi che si corrono e quando qualcuno sente di avere questi problemi, allora viene indirizzato a un centro di salute locale per la diagnosi e la cura. Il problema però è che spesso i pazienti non ricevono le medicine per curarsi perché in questi centri non ci sono; questo crea una sfiducia tra la popolazione ma per fortuna il progetto che seguiamo prevede anche un approvvigionamento di questi farmaci.
L’altra comunicazione che facciamo riguarda i buoni stili di vita, spesso la gente si ammala di queste malattie perché fa una vita troppo sedentaria o perché mangia cose poco salutari, ma la nostra informazione può cambiare lo stato delle cose.

Articolo pubblicato sulla rivista 2gether maggio 2021

0

MOZAMBICO – AIFO: una ricerca emancipatoria per i giovani con disabilità in Mozambico

Articolo pubblicato su “La parola all’Africa”, mensile della rivista Vita

Testimonianza di Garrido José Cuambe
C’è una cosa che mi fa sorridere di tutta questa vicenda sulla pandemia che da un anno ha colpito anche il Mozambico: è che, almeno per una volta, anche le persone senza disabilità hanno capito cosa significa dover rinunciare a un mezzo pubblico perché non possono più prenderlo. Loro per adesso non possono usarlo per motivi di sicurezza sanitaria, noi invece non possiamo usarlo perché non ha rampe per accedervi o un posto adatto su cui sedersi. Il covid ci ha reso un po’ più uguali.
In Mozambico non c’è ancora molta sensibilità verso i diritti delle persone con disabilità, non si dà loro l’opportunità di partecipare alla società così quando ho incontrato nel 2018 il progetto di AIFO che aveva al centro il protagonismo diretto delle persone con disabilità e un approccio centrato sui diritti umani, ho capito che quello era il mio posto.

“PIN – percorsi partecipativi per l’inclusione economica dei giovani con disabilità in Mozambico” è il nome del progetto affidato dall’Agenzia Italiana di Cooperazione allo Sviluppo ad AIFO e che vede direttamente coinvolto anche il FAMOD, ovvero il Forum che raccoglie numerose associazioni mozambicane che difendono i diritti delle persone svantaggiate.
Il nostro compito è quello di selezionare e formare dei giovani con disabilità per farli diventare ricercatori in un’inchiesta emancipatoria rivolta ad altri giovani con disabilità su scala nazionale.

I nostri ricercatori acquisiscono le tecniche per interrogare i ragazzi sulla qualità della loro vita, sui problemi che affrontano e sulle soluzioni che potrebbero o che hanno adottato. In questo modo rinforzano la loro coscienza e raccolgono informazioni per indirizzarli a un percorso formativo per lavorare nel campo della contabilità, dell’informatica, della ristorazione, come meccanici saldatori…
A loro volta i ragazzi che sono venuti a contatto con i nostri ricercatori – e stiamo parlando di circa 120 persone – devono frequentare un corso di formazione professionale che li porterà, si spera, ad avere un loro lavoro.
Con la pandemia le nostre attività sono cambiate: all’inizio abbiamo temuto di dover rinunciare perché tutte le nostre azioni consistono soprattutto in incontri diretti con le persone. Poi abbiamo trovato delle soluzioni per continuare.
I nostri incontri formativi con i giovani ricercatori sono diminuiti, si sono fatti in gruppi più piccoli e in orari diversificati. Abbiamo usato di più la tecnologia ma in Mozambico avere una connessione internet e uno smartphone non è una per tutti. Esiste anche un problema di formazione alle tecnologie. Non era nemmeno immaginabile fare come voi in Europa, ovvero passare alle piattaforme per continuare i corsi; su 120 persone avrebbero potuto farlo solo in quattro o cinque.
Comunque stiamo andando avanti e, quando potremo rivedere il volto dei nostri amici senza mascherina e stringere loro la mano, allora riprenderemo tutto come prima.

0

MONGOLIA: le persone con disabilità attivisti per l’inclusione

Narangerel dopo l’incidente ha perso il suo lavoro ma ha ritrovato la sua via come ricercatore

Tamirkhuu Narangerel è una persona istruita, un chimico laureato con una specializzazione in management ambientale presa all’università di Bangkok in Thailandia. Vive a Ulaanbaatar con sua moglie e due figli; una posizione sociale invidiabile la sua, quando un imprevisto sconvolge improvvisamente la sua vita. Un incidente gli procura danni alla colonna vertebrale facendogli perdere l’uso delle gambe. Questa significa per lui la perdita del lavoro e della sua posizione sociale, un trauma che lo porta a perdere fiducia nella vita, soprattutto nel suo futuro. Smette di uscire di casa, anche le sue relazioni sociali, eccetto quelle famigliari, si interrompono. Tutta una serie di situazioni negative si innescano e si rafforzano l’una con l’altra, portando Tamirkhuu in una situazione di isolamento senza via di uscita.

Una via di uscita, timidamente, si apre però quando conosce il progetto “Closing the gap” finanziato dall’Unione Europea e da AIFO con il supporto della Ong locale Tegsh Niigem.
Il progetto vuole coinvolgere direttamente delle persone con disabilità per realizzare una vita indipendente e lo fa attraverso la ricerca emancipatoria, dove sono gli stessi disabili a diventare protagonisti nella ricerca dei modi per superare le barriere che si possono incontrare nella vita quotidiana, barriere di ogni tipo, sia architettoniche che di mentalità.
La proposta sembra fatta su misura per una personalità come quella di Tamirkhuu che diventa uno dei 30 giovani ricercatori con disabilità più attivi sul campo; per la prima volta dopo l’incidente riprende a lavorare, a vivere relazioni di lavoro e di amicizia. Traduce dei documenti dal mongolo all’inglese e presenta una sua relazione al congresso mondiale sullo sviluppo inclusivo su base comunitaria che si svolge in Mongolia nel 2019.
Diventa così naturale per lui partecipare al Global Disability Innovation Hub (GDI Hub), un progetto di ricerca che vede la collaborazione di AIFO, Tegsh Niigem e Universal Progress, il centro per la vita indipendente di Ulaanbaatar. IL GDI Hub si propone, attraverso il coinvolgimento di ricercatori con disabilità, di studiare l’inclusività e l’accessibilità degli ambienti e di trovare soluzioni nel design per superare gli ostacoli.

Tamirkhuu lavora nel progetto come co-ricercatore nel suo paese proprio durante la pandemia. Organizza anche un seminario on line in occasione della giornata internazionale delle persone con disabilità in cui presenta il lavoro effettuato sul campo.
Un’altra attività che porta avanti, parallelamente alle altre, è il suo incarico di formatore all’interno del Centro per la vita indipendente.
Grazie anche ad AIFO, Tamirkhuu oggi è un uomo che vive pienamente, nonostante le sue difficoltà motorie, e s’impegna per le altre persone con disabilità, perché tutti possano avere la loro vita indipendente.

GDI Hub: una ricerca emancipatoria per rendere inclusiva Ulaanbaatar

Il Global Disability Innovation Hub (GDI Hub) è un progetto di ricerca sugli ambienti accessibili e inclusivi in sei paesi (tra i quali la Mongolia) finanziato dal FCDO (UK’s Foreign, Commonwealth and Development Office) che vede la presenza attiva di AIFO e Tegsh Niigem e che, per quanto riguarda la situazione in Mongolia, ha avuto un finanziamento anche dalla Asian Development Bank. Con questa ricerca si vuole conoscere la situazione in termini di accessibilità e di inclusione degli edifici pubblici e delle infrastrutture in Ulaanbaatar attraverso il coinvolgimento di funzionari pubblici, di imprenditori e, naturalmente, di persone con disabilità.
Il lavoro si è svolto in tre fasi.

Nella prima si è posta l’attenzione sull’accessibilità degli edifici pubblici a Ulaanbaatar attraverso ricerche basate sulla documentazione e si sono fatte interviste con le principali parti interessate tra cui: funzionari governativi, architetti, urbanisti, project manager e consulenti del settore sviluppo.
Nella seconda fase ci si è rivolti all’esperienza diretta vissuta delle persone con disabilità a Ulaanbaatar. Per capire questa esperienza sono state fatte le interviste, i diari fotografici e le attività di co-design e si è andati anche alla ricerca di buone pratiche esistenti sul territorio.

Infine nell’ultima fase si è fatta una sintesi dei risultati delle due fasi precedenti tenendo una serie di seminari per discutere e convalidare i risultati. Lo scopo di queste sessioni era identificare “azioni verso ambienti inclusivi” individuando sfide e opportunità condivise tra i diversi portatori di interessi. I workshop hanno utilizzato tecniche di progettazione inclusiva partecipativa e hanno permesso ai partecipanti di acquisire esperienza in metodi di progettazione inclusiva che potrebbero essere applicati al proprio lavoro.
Questo metodo si è dimostrato particolarmente efficace in un paese come la Mongolia dove le intenzioni politiche, anche buone, si scontrano con una situazione sociale e culturale molto particolare che vede una fetta della popolazione ancora dedita alla pastorizia nomade.

Questo progetto è anche un esempio perfetto di come AIFO coopera con gli altri paesi, una cooperazione di tipo circolare e complesso che la vede co-finanziatrice in azioni che coinvolgono Ong (Tegsh Niigem) e associazioni locali (Universal Progress).

Quante sono le persone con disabilità?

Secondo l’Organizzazione nazionale di statistica (NSO), nel 2020 la popolazione totale della Mongolia è di circa 3,3 milioni. Circa il 68% della popolazione vive nelle aree urbane.
Le persone con disabilità censite sono 106.400 circa il 3,3% della popolazione totale.
Le persone con difficoltà di movimento sono 24.000, con disturbi alla vista sono 12.800, con difficoltà di udito 8.700, con disturbi mentali 21.500 (in aumento del 3%).
Questi dati dimostrano che il progetto promosso da AIFO è di vitale importanza dato il gran numero di persone con disabilità che vivono nella capitale.
Ricordiamo che il 13 maggio 2009 il Parlamento della Mongolia ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità con il 100 per cento dei voti. Più recentemente, nel 2016, è stata approvata anche una legge nazionale sui diritti delle persone con disabilità. Tutta questa attenzione è stata favorita anche dal pluridecennale impegno di AIFO nel paese asiatico.

(articolo pubblicato sulla rivista “Amici di Follereau” – marzo-aprile 2021)

0

L’opportunità digitale per l’intero pianeta

tavola1.png

Percentuale persone presenti su internet (2012)

Costruzione di infrastrutture, un’adeguata cultura ma anche le tecnologie povere per ridurre il divario digitale tra i paesi poveri e quelli ricchi

Un ragazzino che abita in una zona rurale dell’Assam (India nord orientale) ha le stesse opportunità di accedere a un computer e usare internet per studiare che ha un suo coetaneo che abita a Mantova? Un contadino della Guinea Bissau ha gli stessi strumenti per prevedere le precipitazioni attraverso un servizio dati fornito da internet tramite uno smartphone, che ha un contadino romagnolo? No, per niente. E’ questo il digital divide (divario digitale), una mancanza di opportunità data dalle tecnologie digitali.

Quando si parla di digital divide occorre tenere presente un duplice aspetto: da un lato per potere usare le tecnologie digitali occorre avere un computer, una buona connessione alla rete, e dall’altro occorre essere formati a usare il computer e a saper selezionare le informazioni. E’ un po’ come avere la macchina: non basta essere in grado di comprarla, occorre anche saperla guidare conoscendo le regole stradali.
In altre parole e facendo un esempio, non basta cablare l’intera Africa per colmare il divario digitale, occorre anche una buona formazione scolastica e professionale.
Il digital divide poi, non è un obiettivo che si raggiunge come un rifugio di montagna, ma è un obiettivo sfuggente che si porta sempre in avanti – cambiano le tecnologie – e questo comporta una formazione continua, pena il ritorno all’indietro come capita nel gioco dell’oca.

Il divario nel mondo

Secondo il rapporto della Banca Mondiale del 2016 (“Digital Dividends”) quattro miliardi e 600 milioni di persone, ovvero il 60% della popolazione mondiale non ha una connessione privata alla rete. I paesi più popolosi del mondo denotano questo divario in un modo impressionante. In Cina 775 milioni di cittadini non hanno accesso alla rete, in Indonesia sono 213 milioni, ma il dato più clamoroso è quello della “tecnologica” India che vede ben un miliardo e 100 milioni di esclusi (su una popolazione di un miliardo e 276 milioni di persone!).
Negli Stati Uniti sono connessi l’84% delle persone, e messi assieme tutta l’America Latina e o Caraibi riescono solo a pareggiare in termini di utenti internet con il loro vicino nordamericano.
Il Rapporto precisa che, tra le nazioni con più di dieci milioni di abitanti, solo Olanda, Regno Unito, Giappone, Canada, Corea del Sud, Stati Uniti, Germania, Australia, Belgio e Francia hanno in rete più dell’80% dei loro cittadini (l’Italia non c’è, dato che nel 2016 solo il 63% è connesso).
Nonostante tutto, la diffusione di internet continua a crescere (anche se non più velocemente come prima) e il trend rimane positivo: nell’ultimo anno in Sudafrica c’è stato un incremento dell’11%, in Egitto, Nigeria e Marocco del 10%. Dal 2003 al 2015 il numero di utenti internet è passato da un miliardo a tre miliardi e 200 milioni di persone.
Secondo un rapporto dell’Onu del 2015, confrontando i paesi sviluppati con quelli che non lo sono, i dati ci dicono che nel primo gruppo il grado di penetrazione di internet è dell’82%, mentre nel secondo gruppo è solo del 34%.
Chi poi ha accesso a internet veloce è solo il 15% della popolazione mondiale. Internet veloce significa a banda larga ovvero un modo più completo ed efficace di usare le tecnologie digitali.
Per la “Wireless Broadband Alliance” questa opportunità è esclusa anche a molti cittadini che vivono nei paesi ricchi. Secondo i suoi dati, il 57% della popolazione urbana non è connessa con banda larga, e ancora il 37% di cittadini che vivono in città ricche non sono connessi (soprattutto in Medioriente e nel sud est asiatico). La metropoli più “connessa” del mondo è Londra, mentre nella ricca Los Angeles quasi il 25% dei suoi cittadini non dispone della banda larga.

“L’effetto San Matteo”

Quando parlano di questo effetto, i sociologi, in un modo forse un po’ cinico, si riferiscono ad una precisa constatazione. Chi ha, avrà e chi non aveva prima non avrà nemmeno dopo, anzi ancora di meno. Perché l’innovazione tecnologica rafforza le forme di esclusione sociali preesistenti e, fatto ancora più significativo, ne crea di nuove, produce nuove disuguaglianze. Le persone che non utilizzano la tecnologia digitale accumuleranno uno svantaggio che prima non avevano e questo vale anche a livello degli Stati. Gli stati ricchi tenderanno ad avere sempre più chance, anche proporzionalmente.
Questa situazione viene sottolineata espressamente nel rapporto della Banca Mondiale che indica alcune linee di azione per correre ai ripari, come la costruzione di infrastrutture per tutti e internet a prezzi abbordabili, pena l’esclusione di una parte del mondo. Del resto anche il 9° dei 17 “Obiettivi di Sviluppo Sostenibile” appena varati dall’Onu, si riferisce proprio alla necessità della costruzione delle infrastrutture adeguate per tutti.
Accanto alla possibilità di accedere ne deve essere data però subito un’altra, quella della formazione, della cultura necessaria per cogliere le opportunità. Molte ricerche indicano una curiosa tendenza: le motivazioni date da chi non accede a internet non sono solo di tipo economico, ma anche di tipo motivazionale; a volte, e questo soprattutto nei paesi sviluppati, si ha la possibilità di accedere economicamente alla rete ma per mancanza di cultura non si sa che farsene, non si ha interesse a usarla.

Se Facebook vuol fare il buono

Mark Zuckerberg, l’inventore di Facebook, ha voluto impegnarsi in prima persona nell’abbattimento del digital divide lanciando il progetto “Internet.org”, “per connettere il mondo intero e non solo qualcuno di noi” come recita nel sottotitolo. In India, rivolgendosi alla popolazione rurale, ha promosso l’opportunità di navigare gratuitamente in rete con questo preciso limite però: accedere a internet significa accedere a Facebook e a un pacchetto limitato di siti deciso dal noto social network. Questo ha scatenato un dibattito tra gli attivisti indiani che hanno denunciato Facebook di oltraggiare la neutralità della rete (net neutrality) dando una possibilità di visione limitata e distorta di internet.
Anche altri attori importanti si sono mossi in tal senso: Google ha promosso nel 2013 il “Project Loon” in Indonesia; in pratica il lancio di una serie di palloni aerostatici nella stratosfera per assicurare l’accesso a internet in aree prive di infrastrutture a terra.
Infine Elon Musk – cofondatore del noto sistema di pagamento on line “Paypall” e fondatore dell’azienda motoristica più tecnologica del mondo, la “Tesla” – vuole lanciare una serie di piccoli satelliti low cost accessibili anche ai paesi poveri.
Dietro a queste operazioni c’è un preciso interesse economico, quello di poter raggiungere i centinaia di milioni di contadini indiani, indonesiani e di altri paesi molto popolati, visto che nei paesi sviluppati il mercato è quasi saturo.

Mongolia: lo smartphone nella steppa

Abbattere il digital divide in Mongolia è una sfida difficile e questo per vari motivi.
E’ un paese molto vasto e disabitato dove i villaggi e le cittadine sono malamente collegate tra di loro. Eccetto che nella capitale, nel resto del paese non esiste un sistema di strade asfaltato e non esiste un sistema di cablaggio per internet.
La diffusione della radio e della televisione è ancora molto ridotta rispetto al resto del mondo e questo è dovuto al fatto che una parte della sua popolazione (circa il 20-25%) è ancora nomade.
Oltre che per motivi economici la popolazione mongola nutre una certa diffidenza  verso la tecnologia e il sistema educativo non sta ancora migliorando la cultura tecnologica nel paese.
Data la conformazione fisica della Mongolia il miglioramento delle connessioni deve passare più per i satelliti che non dai cavi sul terreno. In più, visto che il 33% della popolazione è concentrata tutta nella capitale, lo sviluppo parte necessariamente da qui.
Il cellulare è però molto diffuso in Mongolia; ci sono oltre 3,5 milioni di utenze telefoniche e gli “internauti” sono aumentati da meno di 200.000 nel 2010 a oltre 657.000 raggiungendo il 21,8% della popolazione. Oggi oltre il 30% dei mongoli usano lo smartphone e i tablet.

Brasile: “Ma internet cosa mi serve?”

Il Brasile dal 2006 al 2013 ha visto crescere la penetrazione di internet del 9% e oggi i brasiliani connessi superano di un bel po’ il 50% del totale della popolazione.
Anche per questo paese il modo per accedere alla rete passa per lo smartphone che viene usato dal 90% dei brasiliani connessi.
Secondo un sondaggio del 2015 di fronte alla domanda sui motivi per cui i cittadini brasiliani non usano internet, sono emerse risposte sorprendenti.
Solo una minoranza risponde dicendo che non usa internet per motivi economici oppure perché non vi sono collegamenti disponibili; i motivi principali per cui non si connettono riguardano la mancanza di interesse, le motivazioni per farlo e anche la mancanza di capacità tecniche (il 70% delle risposte). Queste risposte confermano il fatto che, accanto alla possibilità di connettersi, occorre anche formare la popolazione all’uso delle nuove tecnologie, problema questo che naturalmente non riguarda solo il Brasile.

Liberia: le lavagne di Monrovia

In Africa solo il 7% della popolazione è on line; il telefono è invece usato dal 72% della popolazione e ben il 18% di questi telefoni sono “smart”, ovvero permettono la connessione a internet.
Di fronte a una grande carenza di infrastrutture e a una bassa scolarizzazione, per rendere più moderna la società africana bisogna trovare nuove strade, anche quelle che usano la tecnologia povera per raggiungere  quella di tipo più sofisticato.
Interessante in questo senso è l’esperienza delle lavagne pubbliche del giornalista Alfred Sirleaf in Liberia, paese dove il 42% della popolazione è analfabeta.  Dal 2006 Sirleaf scrive su una grande lavagna, posta in una trafficata piazza di Monrovia, le notizie principali. Sono notizie scritte in un linguaggio semplificato, a volte accompagnato da immagini, a volte scritto non solo in inglese ma in una lingua locale.  Questo strumento di informazione si è rilevato così efficace che due agenzie private di giovani liberiani che si occupano di digital divide e collaborano con il Ministero dell’informazione hanno deciso di utilizzarlo.
Tecnologia povera è quella usata dalla riabilitazione su base comunitaria nei progetti di Aifo che può essere utilizzata anche in questo campo, come accade in varie parti dell’Africa grazie alla “Grameen Foundation”. Alcuni contadini locali o operatori sociali con un minimo di formazione telematica passano le proprie informazioni ottenute con uno smartphone ai loro vicini di casa.

0

“Cooperare per l’inclusione della disabilità”, ecco il nuovo numero della rivista “Amici di Follereau”

Cattura“Cooperare per l’inclusione della disabilità” è questo il titolo del dossier del numero di luglio-agosto della rivista “Amici di Follereau” che presenta la mappatura delle iniziative fatte dalla cooperazione italiana a favore delle persone con disabilità; ne emerge un quadro preciso dei paesi dove viene fatta (soprattutto nell’area del Mediterraneo e in Africa), in testa alla classifica su tutti gli altri i Territori palestinesi e la Tunisia.

Nello spazio dedicato alla cultura parliamo di Svetlana Aleksievic; raccogliere una testimonianza, saper raccontare le emozioni, addirittura la vita di una persona che ha subito un dramma e ne subisce le conseguenze, non è per niente facile. C’è chi, di questo tipo di reportage, ne ha fatto un’arte, come Svetlana Aleksievic, la scrittrice bielorussa, che nel 2015 è stata premiata con il Nobel per la Letteratura, per la sua opera che, come recita la motivazione dell’Accademia svedese, è un “monumento alla sofferenza e al coraggio dei nostri tempi”.

Il progetto Aifo del mese riguarda invece la lotta alla lebbra in Guinea Bissau e all’inserimento degli ex malati all’interno della società anche grazie al lavoro.
Nella sezione “In Primo Piano” invece si raccontano i “Panama Papers” e i paradisi fiscali dove i paperoni mettono al sicuro la propria ricchezza.
Infine un articolo dedicato al concorso scolastico Aifo “Colora i diritti delle persone con disabilità” che quest’anno ha riscosso un grande successo all’interno delle scuole italiane.

0

Progettare l’inclusione sociale in Mongolia

Intervista a Tulgamaa Damdinsuren coordinatrice Aifo in Mongolia

Si parla sempre più spesso di sviluppo inclusivo, mi puoi definire, in base alla tua 10038651036_42c656acc5_zesperienza che cos’è la CBID (Community Based Inclusive Development) o nella sua versione italiana SIBC (Sviluppo Inclusivo su Base Comunitaria)?
Lo sviluppo inclusivo significa semplicemente dare l’opportunità a tutte le persone, soprattutto a quelle che stanno ai margini, di essere una parte attiva della società. Sono le persone con disabilità a essere più svantaggiate. Per costruire una società inclusiva occorre che tutti i cittadini, anche quelli con un deficit, siano parte di questo sviluppo.

In cosa consiste la differenza tra RBC (Riabilitazione su Base Comunitaria) e SIBC?
La RBC è in un certo senso una buona base da cui si parte per avere uno sviluppo inclusivo, attraverso questa i cittadini, le persone con disabilità, le autorità e i tecnici prendono coscienza di certe cose e questo è stato, ed è, molto importante in un paese come la Mongolia. 25 anni fa, prima che s’iniziasse fare la RBC le persone disabili non venivano viste come persone portatori di diritti, casomai come persone da assistere. Questa pratica ha portato a un cambiamento di mentalità che possiamo vedere nelle nuove generazioni di giovani con disabilità. Non aspettano più una pensione dal governo ma lottano per i loro diritti, studiano le lingue straniere (inglese e giapponese) per comunicare con il mondo.

E per quanto riguarda la progettazione inclusiva, in che modo Aifo la sta facendo in Mongolia?
Negli ultimi due anni Aifo ha prestato attenzione soprattutto all’iter della legge nazionale Munguntsetsegsui diritti delle persone disabili che è stata approvata questo febbraio. Avere una legge significa avere anche una politica a favore delle persone con disabilità che non si basa tanto sul solo welfare ma sui diritti delle persone. Il prossimo passo sarà l’elaborazione del Piano di Azione nazionale per dare corpo a questa nuova legge. In questo piano oltre al Ministero per lo sviluppo e la protezione Sociale saranno presenti le organizzazioni delle persone con disabilità e Aifo farà da facilitatore nei gruppi di lavoro.

Mi puoi fare qualche esempio recente di sviluppo inclusivo in Mongolia?
Mi viene subito in mente l’esperienza dell’associazione mongola “Utenti delle carrozzine”.
Dopo che sono venuti in Italia in occasione di Expò 2015 e hanno provato a viaggiare senza barriere architettoniche tra Milano e Bologna, hanno voluto incontrare il Ministro dei Trasporti per parlare di accessibilità ai treni, agli autobus e agli aeroporti. Bene l’incontro c’è stato nel dicembre del 2015 e a marzo del 2016 si sono visti i primi risultati. Le ferrovie nazionali hanno reso accessibili dei vagoni ferroviari. Nell’aeroporto invece è stato organizzato un servizio chiamato “SOS” per aiutare le persone con disabilità, ma anche anziani, donne incinte o con bambini piccoli. Infine gli autobus di Ulaan Baatar hanno deciso di riservare due posti per persone disabili in ogni mezzo. Molto spesso le persone e soprattutto chi deve decidere non conosce i reali problemi delle persone disabili, ma quando li conosce, non dice quasi mai “Non abbiamo soldi per farlo”, ma opera un cambiamento e questo noi lo abbiamo sperimentato più volte.

L’esperienza delle organizzazioni delle persone con disabilità in fatto di sviluppo
inclusivo può portare anche a nuovi rapporti istituzionali o addirittura a nuovi rapporti tra paesi in via di sviluppo e paesi sviluppati?
Si certo. Sempre nel 2015 una delegazione mongola ha preso parte a Ginevra a un incontro sulla Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità; dopo quell’incontro Tsakhiagiin Elbegdorj, presidente della Mongolia ha chiesto alla rappresentante della cropped-landscape-9652.jpgFederazione nazionale dei Non vedenti di diventare suo consigliere sui temi legati ala disabilità e ha anche invitato a colazione un gruppo di donne con disabilità per parlare delle loro esigenze.
Sempre dopo l’esperienza di Ginevra, il responsabile di “Universal Progress”, il centro mongolo per la vita indipendente, è stato invitato in un’università di Tokio per parlare di quello che è stato detto a Ginevra e a condividerlo con le associazioni locali giapponesi

English version

INTERVIEW

What’s for you inclusive development? Can you describe me with your words?
Inclusive development means to give opportunity for all the person, especially marginalized people to be part of active society. Why we talk about inclusive development of the persons with disabilities? The persons with disabilities have less access to all the life, which belong to them. They have less access to school, health, labor and social services. In order to build up integral world in the country every citizen, including people with disabilities need to be part of the development. They need to be the part of mainstreaming of the country.

 How is the aifo’s planning in Mongolia? In which way is this planning inclusive?
AIFO’s main focus in Mongolia is to contribute to the implementation of CBR program at national level. Mainly we focus on self-help groups (SHGs) established in the country. The value of these SHGs is that persons with disabilities play important role for their future life.
During the last two years AIFO paid special attention to the development of national law on the rights of the persons with disabilities in the line of CRPD. And the Law of the rights of the persons with disabilities of Mongolia just recently adopted in February 2016 by the Parliament of Mongolia. To make it possible, EU co-funded project “Protecting the rights of the Persons with disabilities through strengthening capacity building of the civil society organizations”, its implementer “Tegsh Niigem” NGO and Ministry of Population Development and Social Protection played very important role. To have a law means we have a policy. It is remarkable year for Mongolian people with disabilities that they have rights-based law shifting from welfare-based law.

Now the next step will be to elaborate National Action Plan to implement the new Law. The working group is established at the Ministry of Population Development and Social Protection including national DPOs, NGOs and relevant ministries. AIFO is planning to play a role to facilitate the working group to elaborate Action plan in line with international documents and experiences of the other countries.

The planning of AIFO in Mongolia is based on the request from grass-root organizations of the persons with disabilities and CBR coordinators of aimags and districts. According to the priority and value of AIFO we collaborate with local authorities and stakeholders. And also the partners of AIFO participate actively in the planning of the activities, funded by AIFO. AIFO never implement any activities without their active participation.

What is the difference between rbc e inclusive development for you?
CBR established very good ground for the inclusive development. The CBR program improved the knowledge of stakeholders, persons with disabilities and public, especially for the country like Mongolia, who had different political regime and mind-setting is different. Before the CBR the persons with disabilities are treated just welfare receiver. For 25 years the CBR played very important role to disseminate holistic approach of disability to let it grow in the ground.

After 25 years of working in Mongolia we can see the result from the young disabled people. Their approach is changing and they are not just waiting the pension from the Government. They are starting to fight for their rights in good way. They are starting to learn to negotiate with the Government in order to protect the rights of the persons with disabilities.  They are learning foreign language (English and Japanese) to communicate with the world. They are learning to write Shadow report to CRPD Committee.

Can you do some examples of inclusive development in Mongolia?
One very good example of last year was initiation of Wheel Chair Users Association of Mongolia. After coming back from Milano Expo and accessible trip from Milano to Bologna and to Mongolia together with Giampiero Griffo, Ms. B.Chuluundolgor addressed to AIFO Country Coordination Office to organize a meeting with Minister of Road and Transport. The meeting was held in December 2015 after discussion of almost two months. Mrs. Chuluundolgor introduced to Mr. Zorigt Munkhchuluun, the minister of road and transport and his colleagues about the possibilities to make the airport, train and bus accessible for the persons with disabilities on the basis of her personal experience to travel by plane and train in Italy. AIFO has paid just the meeting cost and invited press journalists. Instead Mr. Zorigt Munkhchuluun promised to National Association of Wheel chair users to make steps in next three months. He reached into his promise. In March 2016, Mongolia had one wagon accessible for the wheel chair users. The Railway Authority made the wagon accessible with their budget. Surely the cost was millions of tugriks. But everything is possible only when people know what to do to make the people convenient. The airport  “Buyant Ukhaa” is establishing a service called “SOS” to support the needed people including persons with disabilities, elder people, pregnant women and mothers with children. The local busses reserve 2 seats for the persons with disabilities.

As a result of this meeting very important steps started. It can be only beginning. This is real example of good and on time expression of the person with disability.

After the CRPD Committee session in Geneva, the President of National Federation of Blind became advisor to the President of Mongolia. And Mr. Tsakhiagiin Elbegdorj, the President of Mongolia invited the representatives of women with disabilities and other women for breakfast. The representatives of women with disabilities expressed the voice of disabled community, especially women with disabilities.

After the CRPD Committee session in Geneva, the Head of “Universal Progress”, the independent living center was invited to Tokyo University for testimonial of experience of the CRPD session and lessons learnt to share with other countries DPOs, who will be reviewed by the CRPD Committee very soon.
March 2016, the group of people with disabilities attended to the Abilympics in Bordeax, France. Three people received medals from the Olympic game. It becomes very good example to the public and young peope with disabilities.

I think that 2006 was peak success for Mongolian DPOs. AIFO implemented a project co-funded by UNDESA. DPI-Italy played important role to train representatives of DPOs in collaboration with Human Rights Commission of Mongolia on the text of UNCRPD. This project was very fruitful seeds in the ground.
Another important success was that first time Mongolia had rights-based law with full participation of national DPOs.

 How should be the inclusive planning for you?
Every activity needs to be performed with the participation of persons with disabilities. Persons with disabilities are experts. Once they are empowered they can own everything.

0

Sviluppo inclusivo, l’industria della armi in Italia, … ecco il nuovo numero della rivista “Amici di Follereau”

Screenshot 2016-05-02 13.45.24Lo sviluppo inclusivo è al centro nel nuovo numero della rivista “Amici di Follereau”. Ma che cos’è lo sviluppo inclusivo che Aifo sta applicando nei suoi progetti per contrastare la disabilità e l’esclusione? “Significa che la persona umana è percepita nella sua interezza e ne è valorizzata la dimensione di attore ‘politico’ all’interno della propria comunità: la persona disabile non è un ammalato da proteggere ma un titolare di diritti suoi propri e che può contribuire al benessere della comunità cui appartiene”. Come questo viene concretamente fatto lo potete ritrovare nel racconto degli interventi Aifo in tre paesi, (Brasile, Mongolia e India).
Qual è il valore sociale di una persona con disabilità? Ce lo dice Felice Tagliaferri non vedente e scultore.
Il progetto Aifo del mese invece riguarda la provincia di Manica in Mozambico dove attraverso l’azione di gruppi di mutuo aiuto i contadini apprendono a coltivare orti biointensivi che riducono dell’88% l’uso dell’acqua.
Infine un articolo sull’industria della armi in Italia, il maggior esportatore di armamenti leggeri, anche verso paesi autoritari e repressivi.