In viaggio verso lo Zavhan

Una graphic novel, in formato cartaceo ma anche on lineche racconta la vita di alcuni disabili della Mongolia attraverso l’uso del fumetto; un modo per raccontare cose difficili con strumenti espressivi facili.
Di seguito potete leggere l’introduzione.

zavhan

Tre giri intorno all’ovoo

La prima volta che incontrammo un ovoo fu al confine tra l’Arkhangai e lo Zavhan, due regioni nordoccidentali della Mongolia. Era stato costruito proprio a cavallo di un passo di montagna. Cominciava a imbrunire e il cielo era grigio. Nonostante fosse luglio la temperatura era di poco sopra lo zero. Ebe, il nostro autista, si fermò, scese dall’auto e si avviò verso un cumulo di pietre decorato con le tipiche sciarpe azzurre buddiste e da oggetti colorati non distinguibili in quella luce incerta. Unì le mani nella posizione della preghiera buddista e poi fece tre giri in senso orario intorno al cumulo, fermandosi ogni tanto per raccogliere delle piccole pietre che gettava sulla montagnola. Noi lo imitammo, più per cortesia che per convinzione, eppure, per quanto mi riguarda, quello fu il mio vero ingresso in Mongolia.

L’impegno ventennale di Aifo
Le storie che leggerete in questo libro, storie raccontate attraverso il fumetto, sono il risultato della collaborazione tra Aifo e il Centro Documentazione Handicap di Bologna. Le due organizzazioni nel corso degli anni hanno scritto l’una per l’altra nelle reciproche riviste, hanno partecipato a eventi comuni, appoggiato campagne di sensibilizzazione sulla disabilità. Questa collaborazione ha portato anche alla realizzazione di un corso di formazione alla comunicazione che il sottoscritto ha condotto nell’autunno del 2011 ai responsabili di settore di Aifo.
Uno dei temi fondamentali del corso era proprio quello di come raccontare in modo adeguato ciò che Aifo fa nei paesi del sud puntando su strumenti di comunicazione diversi (articoli, servizi fotografici, video…) e sulla qualità e la cura del prodotto informativo. Avevamo trattato anche della fase successiva a come, cioè, il prodotto informativo poteva essere utilizzato tra i soci dell’associazione e promosso in generale verso le istituzioni, i donors, i semplici cittadini.

Fu così una logica conseguenza l’idea di realizzare ciò di cui avevamo discusso nel corso di formazione, pensando al racconto di un progetto da scegliere nei paesi in cui era presente Aifo. La scelta del paese ricadde sulla Mongolia, un luogo dove l’ong lavora dal 1991 e dove è riuscita a fare riabilitazione su base comunitaria su tutto il territorio nazionale coinvolgendo solo nel 2012 oltre 26 mila persone disabili.
Ma come raccontare nel modo più completo questa situazione? Decidemmo di partire in due persone – e questo fu possibile soprattutto grazie a Francesca Ortali, responsabile progetti esteri di Aifo – io come giornalista e Salvo Lucchese come operatore, in modo da poter raccogliere le storie non solo attraverso delle parole ma anche attraverso delle immagini. Il frutto del nostro lavoro lo potete trovare nei brevi documentari caricati nel canale Vimeo (http://vimeo.com/aifo/videos) e nelle gallerie fotografiche su flickr (http://bit.ly/1fIDVRI); mentre il servizio giornalistico lo potete leggere nel numero 4 della rivista Accaparlante. Per ultimo abbiamo realizzato, grazie a Giuliano Cangiano, in arte solo Kanjano, questo fumetto che si basa sulle storie che abbiamo raccontato sia nei video che nei resoconti scritti, ma che, come abbiamo visto strada facendo, ha via via preso una sua fisionomia tutta originale visto che si tratta di un mezzo espressivo del tutto diverso rispetto ai precedenti.

Il libro inizia con un capitolo dedicato a un sintetico quadro storico, politico e sociale della Mongolia che è in assoluto uno dei paesi più originali del nostro pianeta. In successione trovate le storie di una persona disabile abitante a Ulaanbaatar, di un gruppo di mamme di bambini disabili della regione dello Zavhan e di una bag feldsher, una particolarissima infermiera che presta servizio a cavallo o su un cammello aiutando la popolazione nomade.
In appendice troverete invece due sezioni che hanno una funzione più didattica; nella prima parliamo della Convenzione dell’Onu sui diritti delle persone disabili e nella seconda spieghiamo in cosa consista la riabilitazione su base comunitaria (RBC).

In viaggio con Ebe e Tuki
Dei 13 giorni, aeroporti esclusi, che abbiamo passato in Mongolia, sei ne abbiamo passati a bordo di un fuoristrada Toyota, questo perché da Ulaanbaatar a Uliastaj, la capitale dello Zavhan dove eravamo diretti, i 1200 chilometri da percorrere solo in minima parte erano su strada asfaltata, ma spesso si trasformavano in strade di ghiaia e altre volte in semplici piste sull’erba. Avevamo però un autista d’eccezione, Ebe, che oltre ad essere uno dei coordinatori delle attività di Aifo, ha dimostrato una conoscenza dei luoghi veramente speciale.
La prima volta che siamo saliti in macchina con lui, eravamo da poco atterrati all’aeroporto di Ulaanbataar, ci ha portato a casa di Bayaraa, il primo dei personaggi che troverete in questo libro. Bayaraa abita nella periferia della capitale che è circondata da una corona di gher, le tipiche tende mongole. In questa città che cresce di anno in anno ad un ritmo molto elevato, i nuovi arrivati si stabiliscono ai margini della capitale e, dato che la terra non costa niente – lo spazio libero qui e come l’aria, senza fine – basta una semplice registrazione per avere diritto ad una certa metratura di terreno al cui interno gli immigrati erigono la loro tenda o a volte una casetta di legno. Bayaraa ci aveva accolto in un modo molto cordiale e fin dalle prime battute avevamo capito che era una persona con cui sarebbe stato facile costruire una buona intervista. Abbiamo conosciuto quel giorno solo un figlio, mentre nel secondo incontro, avvenuto dieci giorni dopo, abbiamo potuto conoscere la famiglia quasi per intero. Una famiglia molto unita.
Il giorno dopo siamo partiti alla volta dello Zavhan e abbiamo viaggiato per quasi tre giorni di seguito. Uliastaj con il suo isolamento estremo ci è parso un luogo quasi incantato. Qui abbiamo incontrato prima Demchigsuren, un chirurgo e dirigente sanitario locale che ha sposato la causa della riabilitazione su base comunitaria e poi un gruppo di mamme che da una settimana viveva assieme a due specialiste di RBC per parlare dei loro figli disabili. Questa storia la conoscerete bene attraverso le tavole del fumetto che troverete nel libro; uno cosa però non poteva rientrare nei disegni direttamente e allora la riporto con delle parole. Anche se eravamo in Mongolia, anche se le madri erano delle nomadi con una cultura e uno stile di vita quanto di più lontano da una madre occidentale e italiana, ho rivisto in loro lo stesso atteggiamento di cura, di partecipazione, di testardaggine e di resistenza (ma potrei continuare ancora a lungo con le precisazioni) che ho incontrato tante volte nelle mamme italiane che ho conosciuto lavorando con i disabili: erano le stesse persone ed erano trasportate dallo stesso amore verso i loro figli.

In quei giorni abbiamo intervistato anche persone disabili adulte (non le troverete in questa pubblicazione, ma nei video e nel reportage) e abbiamo conosciuto la loro determinazione e la loro voglia di vivere come gli altri, di avere le stesse opportunità. In tutti questi incontri è stata fondamentale come interprete Tuki – anche lei responsabile delle attività di Aifo nel paese – ma anche come organizzatrice.
Nel libro è presente invece un personaggio molto particolare, una bag feldsher, un’infermiera a cavallo che abita in un’alta valle di montagna a qualche decina di chilometri da Uliastaj; in quel luogo regna il silenzio più assoluto, fatto eccezione per il sibilo del vento. Questo è stato un incontro difficile per il tipo di persona che ci siamo trovati di fronte, una donna molto competente e motivata ma anche riservata e taciturna; paradossalmente, se l’intervista è riuscita solo in parte (e lo potete constatare anche nel video), le emozioni che abbiamo provato in quella tenda con Munguntsetseg e la sorella (una signora anziana con problemi mentali), sono state molto intense e forse tramite il fumetto, abbiamo potuto dire qualcosa di più su questa persona veramente particolare (chissà se mai le arriverà tra le mani questo libro).

A nord di Uliastaj si sale per una collina su cui sorge uno stupa, il monumento spirituale che rappresenta il corpo del Buddha. Si percorre un sentiero ripido che simbolizza a sua volta il percorso verso l’illuminazione e la liberazione. Ma io e Salvo abbiamo risalito la collina al tramonto e il sole stava calando rapido sulla valle immensa che si apriva davanti a noi. Alle nostre spalle le divinità, racchiuse nelle loro costruzioni bianche e azzurre, guardavano anche loro, con occhi ardenti, la valle. Stava facendo sera e il nostro lavoro era ormai finito: potevamo tornarcene a casa.

2 risposte a "In viaggio verso lo Zavhan"

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