Bereket non esiste ma vuole commuovere

Bereket è un ragazzino eritreo di 15 anni che da due sta cercando di raggiungere Amburgo. Sta raccontando la sua tragica epopea su una pagina Facebook. Ma Bereket non esiste, è tutto finto, si tratta di una nuova forma di storytelling sperimentata da Save the Children.

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Il gioco dovrebbe essere chiaro dato che anche nell’intestazione della pagina c’è scritto che Bereket è un personaggio inventato e che questo si tratta solamente – come si legge nelle Informazioni –  “…di un progetto di sensibilizzazione sul tema dei minori migranti non accompagnati a cura di Save the Children Italia. La storia di Bereket è stata realizzata sulla base di testimonianze raccolte tra i minori migranti eritrei non accompagnati sbarcati sulle coste italiane e assistiti tramite il Progetto Praesidium”.
L’idea è stata lanciata in occasione della presentazione del rapporto, intitolato “L’ultima spiaggia. Dalla Siria all’Europa, in fuga dalla guerra” come si precisa in un articolo dell’Huffington Post (Italia).
Ma leggendo i commenti e le reazioni dei lettori, qualcosa non sta funzionando.
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Il primo post risale al 22 marzo di quest’anno e si riesce a leggere tutto lo storytelling in pochi minuti. La partenza dall’Eritrea, la sua cattura in Etiopia e poi un tragico balletto che porta questo personaggio dai campi profughi sudanesi alle prigioni libiche, poi a quelle egiziane, infine il ritorno in Libia con la speranza di imbarcarsi verso l’Europa. Il racconto è corredato da immagini, da altre piste narrative (la storia dell’atleta olimpico eritreo) e anche dal commento dei suoi famigliari che vivono già in Germania. Ma è tutto finto e a volte un po’ patetico. Ho provato anche a ricercare i profili su Facebook dei suoi parenti ma ho trovato come primi risultati un attore comico, un ristorante…
Ma al di là del racconto basta vedere i commenti dei lettori per capire che questo tentativo non sta raggiungendo il suo scopo, non sta sensibilizzando sul tema dei profughi minorenni che partono dall’Africa per arrivare in Europa alla ricerca di una vita degna.
I commenti a volte sono esilaranti, altre volte tristi; è in queste occasioni che il popolo della rete diventa più che un’intelligenza collettiva, un magma caotico ingestibile.

Questa confusione però ha anche alcune spiegazioni. Chi legge un post, magari lo legge da una condivisione, qualcun’altro invece non riesce ad inquadrarlo nel contesto, ad altri manca semplicemente l’attenzione (che tante volte si perde nel flusso del web). Quindi è facile equivocare.
Oltretutto le persone sono abituate a leggere storie come queste sui romanzi (lì il patto con il lettore è chiaro), oppure su un fumetto, un film, ma non si è abituati a trattare le pagine Facebook come dei racconti inventati. Dalle pagine Facebook ci si aspetta, almeno fino ad oggi, delle cose vere, come la pubblicizzazione di un gruppo, di un’iniziativa, di un personaggio pubblico (non certo di un personaggio inventato).
Comunque il problema maggiore non è tanto la confusione che genera tra i lettori e la mancanza di modelli narrativi di riferimento (fare dei tentativi nuovi è pur sempre un atto di coraggio), no, quello che per me è deludente, è lo stile della narrazione, che tende al patetico, ma immedesimarsi non porta necessariamente a questo.

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2 risposte a "Bereket non esiste ma vuole commuovere"

  1. Ciao Nicola,
    grazie per aver dedicato visibilità alla nostra iniziativa, siamo felici che questa campagna abbia catturato la tua attenzione e che tu ci abbia dedicato questo post.
    Abbiamo letto l’articolo e vorremmo rispondere ad alcuni dei punti che hai evidenziato.
    Anche se il “personaggio” Bereket è di invenzione, tutti gli episodi narrati dal suo profilo sono veri, testimonianze dirette di minori migranti eritrei non accompagnati sbarcati sulle coste italiane e assistiti tramite il nostro Progetto Praesidium (per info sul progetto: http://www.savethechildren.it/IT/Page/t01/view_html?idp=335).
    In base a questa premessa, non siamo d’accordo con te nel definire il racconto “tutto finto e un po’ patetico”: il racconto è tutto vero. Probabilmente la durezza degli episodi narrati risulta poco verosimile agli occhi di alcune persone nel nostro Paese, ma l’obiettivo di questa campagna è proprio sensibilizzare il grande pubblico, con lo stesso approccio narrativo e con uno strumento (Facebook) con cui tante persone “occidentali” descrivono ogni momento della propria vita, sulle storie vere che questi ragazzi vivono giorno per giorno durante orribili esperienze di fuga da violenze o abusi dei diritti umani nel proprio paese di origine, viaggi in cui patiscono altrettante orribili sofferenze come rapimenti, violenze, torture.
    Permettici infine un commento sul tuo ultimo appunto sullo stile narrativo. Nel realizzare la sceneggiatura di questo progetto abbiamo cercato di riproporre le sensazioni e i sentimenti che ci hanno raccontato le persone che hanno vissuto veramente gli episodi narrati, sia negli momenti tristi (come, ad esempio, l’essere rinchiuso in un carcere in Libia solo per la colpa di essere un immigrato) che in quelli di gioia (come, ad esempio, sapere che è stata pagata la cauzione per la propria libertà). Abbiamo tenuto conto della complessità di queste storie, ti invitiamo quindi a continuare a seguire la storia giorno per giorno anche per avere un’idea più completa dei registri narrativi adottati.
    Un caro saluto

    • Cari “Save the children”,
      grazie per la risposta!

      Non metto in dubbio che sono situazioni, anzi drammi, VERI. Quello che è sbagliato, secondo me, è il modo in cui usate la vostra esperienza sul campo; a me lettore occidentale, ma attento al “mondo”, questo racconto non piace, non suscita empatia. Ma voi non siete i soli, anche una narrativa recente come il romanzo “I buoni” di Luca Rastello o “Non dirmi che hai paura” di Giuseppe Catozella seguono, con uno strumento diverso (il romanzo appunto), la strada del “mettersi nei panni di” ma in un modo troppo carico, ridondante, noioso e che fa perdere verità.

      Poi al di là del gusto, andando a vedere la pagina Facebook, il problema con i lettori rimane; molti credono che sia un personaggio vero, altri li avvertono a volte con toni pesanti, inutilmente. Dovete trarre delle conclusioni che non si limitano al numero dei Mi piace.

      Infine non firmatevi con “Save the children”, in rete non è bene presentarsi, almeno in questo contesto collettivamente, ma scrivete firmando “Luca, o Sara o Angela di Save the Children”.

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